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Il Cursore

Il cursore lampeggia costantemente, in attesa di un mio impulso. Attende che i pensieri cadano giù. Dalla mente al pc. Oggi il cielo è grigio, a tratti spunta il sole. Il vento schiaffeggia le cose, muovendole come giunchi sulla spiaggia. Il freddo mi fa rannicchiare su me stesso, perso tra il giubbotto. Faccio due passi verso il corso. Gli alberi sono quasi spogli, quasi un piccolo scherzo della natura, visti i pochi gradi. Passo dopo passo attraverso la strada. Il sole spunta qua e là tra le nubi, per ritornare a nascondersi, come se all’improvviso fosse diventato timido. Continuo i miei passi e la mente corre, soprattutto indietro nel tempo. Fra i fasci di ricordi ammucchiati qua e là. Ripenso a te papà. Mi è inevitabile in questo periodo. Alle nostre felici e lunghe chiacchierate, in cui il tempo non aveva tempo. Penso alle tue parole ed ai nostri sorrisi. Il cielo solo sembra assecondare i colori dell’animo in questi giorni così turbolenti e tempestosi. La marea e le onde dell’animo sono irrequiete, ho smarrito di nuovo il mio porto sicuro. L’Io non risponde a me. Ed è così che le ore passano da un pensiero all’altro. Da un’incertezza all’altra. Accendo la tv. Prima di pranzo. Le notizie si ripetono e si susseguono. Ed è come se il vuoto permeasse nella mente. Ci si affanna giornalmente. Per cosa? Non sempre mi è chiaro. Come in un quadro colorato sembra che la fuliggine grigia si sia posata su tutto. Colori compresi. La macchina fotografica mi guarda. Vorrebbe uscire. Per andare dove? Per immortalare cosa? Anche lei a volte mi sembra sofferente, eppure quanti scatti simpatici e quanta voglia di filtrare il mondo. Filtrare con l’animo ciò che mi circonda. La quiete sembra essere predominante in questo pomeriggio ricco di freddo e vento. Il vento che spazza via le foglie, le nubi. Ma non i miei dubbi. Tanti, confusi e predominanti. Il cursore continua a non essere pago di parole. Insiste nel suo lampeggiare. Sembra conoscermi, sembra sapere cosa voglio. Esplodere di pensieri, Che tracimano da un paio di giorni. Come lava dell’Etna. Già l’Etna, splendida ed imponente, calma ed irrequieta. Ancora non si è tolta il vizio del fumo e così di tanto in tanto dà qualche colpo di tosse. Ascolto musica attorno a me. Non nella mia testa. E’ lo stereo (tanto per precisare).

IL cursore ancora è qui. Sto cominciando a tollerarlo. Non saprei dire se è una condizione reciproca. Sarà ma a me lui fa simpatia. IL caffè preso prima comincia ad entrare in circolo, sta contrastando la stanchezza di notti insonni. Mi viene in aiuto Shakespeare:

Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte.
Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l’ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti.
Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell’uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e
a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d’altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l’incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso: e dell’azione perdono anche il nome…

William Shakespeare

Il giorno riparte, e della notte non resta altro che una manciata di anidride carbonica nella stanza. Non so perché tutto scorre, come un flusso di lava calda, che tutto inghiotte, con una lentezza quasi elegante. La lava cola lenta, con i suoi colori brillanti e contrasti senza fine: rosso, nero, giallo….ed intanto si porta via tutto.

Adesso squilla il telefono. Il cursore capisce che devo andare. Sa che forse per oggi non potrà chiedermi altro.